cristina comencini: due partite – l’albero delle zoccole

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Cristina Comencini: due partite o L'albero delle zoccole
Roma – Cristina Comencini, condensa in questa melensa ed insopportabilmente claustrofobica commedia, tutta la piccolezza del nostro immaginario borghese-cattocomunista rappresentando una sorta di albero delle zoccole in versione all'amatriciana molto ma molto meno saporita( mi scuseranno i cultori della sublime salsa). La nostra indagatrice dell' incubo borghese scopre che alcune donne e orrore madri scopano…. Lei sicuramente borghese per formazione e cultura ma attenta al buonismo oggi tanto in voga a sinistra, compone ritrattini tristi e scontati di questa vita borghese anni'50, tra partite a poker e più o meno belle mamme ( un poco zoccole ma questo è il tributo al cinema verità) tanto per farci dimenticare le sue origini di ricca e viziata figlia di papà.

Come nelle sgangherate gare di mai Dire Banzai, anche qui non manca un fil rouge, filo rosso che attraversa le loro vite: è la predominanza assoluta del ruolo di moglie e madre su tutti gli altri, mamme frustrate, mamme zoccole, mamme borghesi e puttane come d'altronde impone la vulgata del politically correct cui la nostra regista si è abbeverata dopo essere rimasta a bocca asciutta agli Oscar.

Il vostro cronista resiste e spera nel secondo atto, ma qui tutto è ancora più scontato, le figlie delle madri (zoccole) sono tutte realizzate o almeno vorrebero essere donne in carriera (anche loro zoccole forse più delle madri ma questo ora non rileva) ma attente al sociale, piene di sensi di colpa e ossessionate pure loro dalle scopate ( ma oggi chi non lo è sembra dire la nostra fallofororegista) finiscono ad essere animate da una sorta di energia femminile, e qui la commedia raggiunge vette esileranti, un papocchio che strizza l'occhio ai culti orgiastici, alla grande madre, insomma una Dan Brown del Codice da Vinci in 32 esimo per calsalinghe disperate e figlie ancora più disperate.
Piacerà ai critici di regime e riceverà un sacco di premi. Un funerale per il nostro teatro e per l'Ente che lo ospita pagato con i soldi di noi contribuenti.

di Paolo Genovese

Redazione Universinet Magazine
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