erasmus in francia: i consigli di chi e’ partito

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UniversiNet.it – Erasmus in Francia, ecco i consigli di uno studente per non sbagliare. Mai Andare in Francia con una mentalità italiana: se vi presentate in un ristorante alle otto e trenta nove, come si usa nel Bel Paese, vi guarderanno in modo a dir poco ambiguo: la cena è alle sei e trenta, sette… ERASMUS IN FRANCIA ECCO I CONSIGLI DI UN ESPERTONE Se siete in una fila, rispettatela. I francesi badano molto a quelle che per noi sono “piccolezze”. Dal panettiere, in coda per un casello all’autostrada, in posta, davanti a un museo. (Sor)passare qualcuno, è inconcepibile per la mentalità francese, stupido se non lo si fa per quella italiana. Quando si pensa alla Francia,solitamente, di primo acchito, viene in mente un popolo di persone molto patriote, che ha la moquette in casa, che sfoggia chiese gotiche, colori blu in tutte le salse possibili, e, appunto, anche tutte le salse possibili nel senso letterale, ovvero in cucina.
Appena si giunge in una qualsiasi città/paese/locanda dello Stato, si capisce subito che tutti questi giudizi a priori sono assolutamente veritieri.

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Ci si rende conto che i Francesi amano la loro nazione e che il giorno della festa nazionale (14 luglio) per loro effettivamente è il giorno in cui tutto è chiuso, le bandiere svolazzano padrone dai balconi e dai terrazzi. Il giorno in cui anche il gatto si offende se non gli fai gli auguri.
In Italia, se il 2 giugno qualcuno osasse fermare un passante per strada e dirgli: “Auguri”, questi senza imbarazzo risponderebbe: “Non è il mio compleanno, oggi. Devi esserti confuso con qualcun altro. Scusa, ma ci conosciamo?”
Un italiano in Francia giunge impreparato, me ne sono accorto personalmente. Il grazie, che da noi viene pronunciato esclusivamente davanti a uno sconto formidabile, in Francia è doveroso anche dopo aver fornito una cospicua mancia al cameriere. I supermercati francesi oltre ad avere i banco-frigo esageratamente più grandi e numerosi dei nostri, hanno salsicce, vini e formaggi in abbondanti quantità/qualità. In compenso l’acqua, oltre a costare, è più rara dell’oro. I cereali, che solitamente si pensa essere l’unico sostegno gastronomico per i pargoli francesi, invece, sono meno che in Italia. Dalle nostre parti ci sono più qualità di corn-flakes (francesi) che nella stessa Francia. Merito del mercato unico.
Le multe sono davvero tali. Se in Lombardia un milanese viene fermato per non essersi messo le cinture di sicurezza, questi sbraita: “Scusi ma che le ho fatto? Non ero io ad andare con sua moglie, sa? Deve aver preso un abbaglio”, in Francia invece, se si chiede scusa per l’errore, i vigili (educati) accettano le scuse ma non tolgono la multa: circa mezzo milione.
Ripeto: in Italia le sanzioni e le ammende vengono considerate come una forma di sadismo, di cattiveria, di rivalsa autonoma, di vendetta personale da parte dei tutori del traffico, per questo si cercano (all’italiana) dei compromessi, degli accordi, ci si arrabbia anche. Si considera la polizia municipale malvagia. Lo stesso, ovviamente, vale per gli eccessi di velocità. Sui treni il meccanismo è il medesimo. In Italia, se viaggi senza biglietto o non l’hai obliterato, ti arrabbi se ti fanno pagare dieci mila lire di più come sovrattassa. In Francia ti fanno scendere ipso facto dal treno, anche se sei in piena notte, e ti dicono: “Aspetta quello dopo!”. Un atteggiamento simile da noi finirebbe su tutte le prime pagine dei giornali e il ferroviere verrebbe destituito.
La tecnologia forse non è più avanzata rispetto alla nostra, ma senz’altro utilizzata meglio: chi è abituato ai vecchi tram arancio di Milano che sembrano essere spinti da un mulo, rimane sconcertato davanti agli avveniristici di Strasburgo. Qualcosa di simile nel confort e nei colori e nella tecnologia noi l’abbiamo solo con i treni cisalpini. Allora il milanese si chiede: perché pagando uguale, viaggio peggio?
Ma la Francia non è solo rigore morale, correttezza, rispetto, educazione e stazioni ferroviarie pulite e ordinate. Ci sono anche gelati (pochi) messi su coni (giganti) e pagati in quantità (spropositate) per un contenuto (modestissimo). Con dodici franchi francesi, quasi quattromila lire, prendi una pallina di gelato, ma veramente una.
Ma ci sono anche informazioni spicce che mi sento di darvi: 1) mai andare in un ristorante italiano in Francia (d’altronde, ne vedete di ristoranti francesi in Italia?), mai fidarsi del proprio intuito linguistico con la scusa che il dialetto dicono essere simile al francese, episodi personali smentiscono categoricamente, mai cercare di parlare piano e aprendo la bocca come si fosse dei rinoceronti, tentando di far capire l’italiano a un francese: un parigino penserà che lo state prendendo per i fondelli, e le reazioni ve le lascio immaginare.
Mai soprattutto: mai andare in Francia con una mentalità italiana: se vi presentate in un ristorante alle otto e trenta nove, come si usa nel Bel Paese, vi guarderanno in modo a dir poco ambiguo: la cena è alle sei e trenta, sette. Se siete in una fila, rispettatela. I francesi badano molto a quelle che per noi sono “piccolezze”. Dal panettiere, in coda per un casello all’autostrada, in posta, davanti a un museo. (Sor)passare qualcuno, è inconcepibile per la mentalità francese, stupido se non lo si fa per quella italiana.
Il formaggio in Francia non è un piatto culinario: è una religione. Se chiedete in Italia un panino al formaggio vi daranno una fetta di toast con una sottiletta tolta dal frigoconcelatore, in Francia una baguette con almeno cinque tipi di latticini differenti, tutti tipici locali, gustosissimi. Li considerano (giustamente) talmente una prelibatezza che non li trovate nel menù insieme ai secondi piatti o ai contorni (io, infatti, li cercavo disperatamente e forsennatamente senza esito) perché sono fra i dessert. Capite che una nazione che mette i formaggi fra i dolci, significa che attribuisce loro un certo peso. E, badiamo bene, non perché non l’abbiano i dolci: questi infatti sono veramente il “dulcis in fundo” di una cena. Se nel nostro “Stivale” mangiare il dolce significa concedersi una golosità inutile, in Francia significa completare un pasto. Il dessert non è un surplus. Chi infatti mette piede in un qualsiasi posto di ristoro francese, si rende subito conto di non aver a che fare con i soliti profitterol e tiramisù, tipici piatti che consideriamo francesi, anche se nella Francia (vera) non li si sente quasi mai nominare, ma con delle vere e proprie portate, dai nomi impronunciabili, ma di una squisitezza atroce per il colesterolo, ma ammaliante per il palato e per l’occhio. Vedere una sorta di panna cotta bollente, con disciolto sopra un gelato fondente, un caramello a forma di stella, gocce di limone a forma di limone e succo d’arancia a forma di carota, capite, non è da tutti i giorni.
La cultura davvero ha importanza: una famiglia italiana composta da tre figli e due genitori, abituata a un museo italiano dove spende almeno cinquanta mila lire, trovandosi a pagare nove mila circa, rimane inizialmente dubbiosa (hanno sbagliato a fare il conto), quindi amareggiata (non so convertire i franchi in lire), dopo di che sospettosa (vuoi vedere che pensano che siamo due famiglie differenti e non una sola?) e infine affettuosamente sbalordita (Straordinario. Perché non ci veniamo anche domani, visto che costa così poco?) I bonus per le famiglie, atti a conservare e tutelare il patrimonio culturale (e l’unità familiare!) sono veramente sorprendenti.
Da un punto di vista prettamente più antropologico, il francese va studiato. Innanzitutto non è un italiano. Si fa i cavoli suoi e se non lo scocci non si intromette nelle faccende personali, non ti guarda storto se ti vesti in modo differente dal suo e non gode nel metterti in imbarazzo. Ciò nonostante la sua disponibilità è enorme, e la sua amicizia duratura.
Ma non è meno ambizioso dell’italiano. Ma mentre per un uomo made in Italy l’orgoglio massimo è quello di recarsi in televisione per essere riconosciuto al suo ritorno dal postino, l’infermiere e l’idraulico, il francese è più attento a ciò che fa e a come lo fa. Per questo in Francia la sostanza ha la sua importanza (pur non disdegnando la forma).
Le strade sono pulite, e questa non è solo questione di “forma”, comunque. Con questo non significa che hanno più amore della pulizia: trovare un bidet in una abitazione francese è emblematico: o l’avete confuso con un vaso da notte, oppure la casa è di un italiano trasferitosi in Francia.
La prima cosa che comunque colpisce un italiano in Francia è, senza ombra di dubbio, la praticità del popolo: noi siamo filosofi, loro matematici. Chi li dipinge come romanticoni atti soltanto a scrivere poesie d’amore, è bene che si faccia un bel soggiorno alsaziano. Da loro l’arte che tanto amiamo di convincere, persuadere, implorare, supplicare, scendere a compromessi, per loro non esiste: se una cosa si può fare la si fa, altrimenti, inutile. Non s’ha da fare. E il discorso è chiuso.
Non è possibile affermare se è meglio uno Stato o l’altro. Come diceva Biagi: “Giusto o sbagliato, questo è il mio Paese” e come dice Severgnini: “Italiani si diventa”.

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