TORINO. È l’evento che incorona il campione dei campioni, il culmine di undici mesi di gare in giro per il mondo. I migliori otto tennisti del pianeta si sfidano in un palazzetto stracolmo, in una città italiana ricca di storia, arte e passione sportiva. Eppure, per il grande pubblico internazionale, questo spettacolo ha un nome che suona asettico e burocratico: Nitto ATP Finals.
Un nome che, come giustamente notano molti appassionati, “non ricorda Torino né l’Italia, e non vuol dire nulla”. Ma perché uno degli appuntamenti più prestigiosi del calendario tennistico è battezzato in modo così poco glamour? E, soprattutto, non si tratta di un’enorme occasione sprecata per il marketing territoriale?
La logica (globale) dietro il nome
La scelta del nome “ATP Finals” non è casuale, ma risponde a precise logiche di marketing internazionale.
- Un marchio universale: Le Finals sono il trofeo dell’ATP (l’Associazione dei Tennisti Professionisti). L’obiettivo è creare un brand forte e riconoscibile ovunque, un “prodotto globale” che non sia legato a una specifica location. Inserire il nome della città nel titolo principale lo farebbe percepire come un evento più “locale”, sminuendone la portata mondiale agli occhi degli sponsor e delle televisioni internazionali.
- Una sede itinerante: A differenza di Wimbledon o Roland Garros, legati indissolubilmente a Londra e Parigi, le ATP Finals vengono assegnate a una città per un ciclo di alcuni anni (Torino ha il mandato dal 2021 al 2025). Un nome fisso e neutro garantisce continuità, evitando di dover ribrandizzare l’evento ogni volta che questo si sposta.
- La preminenza dello sponsor: Il nome completo è, appunto, Nitto ATP Finals. I diritti di denominazione sono acquistati da uno sponsor principale (la giapponese Nitto), il cui nome deve avere la massima visibilità in un contesto globale.
Uno spreco di opportunità per Torino e l’Italia
Sebbene questa strategia abbia una sua coerenza commerciale, dal punto di vista del territorio italiano essa rappresenta un colossale spreco di potenziale marketing. Ecco perché:
· Branding territoriale azzerato: I media internazionali parlano delle “ATP Finals a Torino”, non del “Torneo di Torino”. La città diventa una semplice cornice, un palcoscenico intercambiabile, invece che un protagonista dell’evento. Non si costruisce un’identità visiva forte e duratura, come quella che lega Wimbledon all’erba e all’eleganza britannica.
· Turismo a lunga gittata sacrificato: Un nome come “Finali di Torino” creerebbe un’associazione mentale potente nei fan globali. Anche a distanza di anni, il ricordo dell’evento rimarrebbe legato alla città. Con il nome attuale, una volta che il torneo si sposterà, il legame con Torino si dissolverà quasi istantaneamente.
· Scarsa presa emotiva sul pubblico locale: “ATP Finals” è un nome freddo e istituzionale. Non accende la fantasia del tifoso italiano medio quanto un “Master di Torino” o “Finali di Italia” potrebbe fare. Manca quell’orgoglio di “casa” che trasforma un evento globale in una festa per tutta la comunità.
· Patrimonio culturale non sfruttato: Italia e Torino hanno un bagaglio inestimabile di cultura, enogastronomia e design che potrebbe arricchire la narrativa del torneo. Un nome più legato al territorio sarebbe il primo, potentissimo tassello per costruire una storia unica attorno all’evento, che lo distinguesse da tutte le altre edizioni.
Cosa si potrebbe fare? Una strada per il futuro
La soluzione non è necessariamente stravolgere il nome ufficiale per i contratti globali, ma affiancarlo con una denominazione “locale” forte e ufficiale. Un ibrido come “ATP Finals – Toro 2023” o “Le Finals di Torino”, utilizzato in modo massiccio nella comunicazione italiana, sui social network, nei talk show e dalla stampa nazionale, potrebbe colmare il divario.
In conclusione, mentre i migliori tennisti del mondo si danno battaglia sul campo, fuori si combatte una silenziosa battaglia di branding. E al momento, in questa partita, Torino e l’Italia stanno clamorosamente perdendo. Avere l’onore di ospitare il vertice del tennis mondiale e non riuscire a scolpire il proprio nome nella sua storia è un autogol promozionale che rischia di lasciare un bel ricordo negli addetti ai lavori, ma pochi frutti duraturi per il territorio.



