i crediti formativi universitari

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I crediti Formativi Universitari
La Riforma definisce il credito formativo universitario (CFU) come l'unità di misura dell'impegno globale richiesto allo studente.
I CREDITI FORMATIVI UNIVERSITARI

A. I crediti – principi e riferimenti istituzionali

A.1. Il ruolo dei crediti nel processo di riforma dell'ordina- mento universitario italiano

L'adozione del sistema dei crediti formativi universitari è uno dei principi ispiratori della riforma del sistema universitario italiano, introdotta dal Decreto 3/11/1999, n. 509 (Regolamento recante norme concernenti l'autonomia didattica degli atenei).

L'introduzione dei crediti che misurano la quantità di lavoro di apprendimento che lo studente deve affrontare pone l'insegnamento universitario in una nuova prospettiva, per più di una ragione:

* Sostituisce all'ottica dell'insegnamento quella dell'apprendimento, che sposta l'accento sullo studente, sulla sua legittima esigenza di rendere realistico l'impegno richiesto per ottenere un titolo di studio e di rendere quindi lo studio universitario percorribile in tempi relativamente certi;

* orienta la riorganizzazione dei Corsi di studio verso il raggiungimento di determinati obiettivi formativi, legati a profili scientifici e professionali, e delle relative competenze;

* favorisce la razionalizzazione dell'insegnamento attraverso un più alto grado di coordinamento fra discipline, attraverso il rinnovamento delle metodologie didattiche e attraverso la modularizzazione dei corsi;

* introduce un maggior peso delle decisioni collegiali in materia didattica, senza ledere il principio della libertà di insegnamento del singolo docente;

* esige una maggiore coerenza fra il bagaglio culturale e conoscitivo di partenza dello studente e l'orientamento universitario.

Il credito è la base di una trasformazione radicale nei principi e nei modi di progettazione e programmazione di un Corso di studi.

A.2. I crediti didattici – un'innovazione europea

Il concetto del credito didattico, così come lo intende la Riforma, trae origine dalla lunga sperimentazione del Sistema Europeo di Trasferimento di Crediti (ECTS) nell'ambito del Programma ERASMUS.

Lo strumento del credito quale misura quantitativa del carico di lavoro (in inglese: workload) svolto dallo studente era stato sperimentato da 150 istituzioni universitarie europee in cinque aree disciplinari, per facilitare il confronto fra gli studi compiuti nei diversi paesi e sistemi di istruzione e per rendere così più agevole il trasferimento e il riconoscimento dei risultati ottenuti durante gli studi all'estero.

Con l'entrata in vigore, nel 1997, della nuova fase del Programma ERASMUS in seno al più ampio Programma SOCRATES, l'adozione di ECTS è stata avviata in oltre 1.200 Università europee e sta diventando una leva importante dell'innovazione della didattica nel sistema, tuttora fortemente disomogeneo, dell'istruzione universitaria europea.

A.3. Il carico di lavoro – perno del sistema dei crediti

In conformità con ECTS, la Riforma definisce il credito formativo universitario (CFU) come l'unità di misura dell'impegno globale richiesto allo studente. Il credito non è pertanto una nuovo modo di misurare le ore di insegnamento, né qualifica il livello o l'importanza di una materia di studio né i suoi contenuti.

La grandezza del carico globale di lavoro, svolto annualmente dallo studente e misurabile in ore di apprendimento, è convenzionalmente rappresentato, in ECTS e nel sistema dei CFU, in 60 crediti.

I testi ministeriali (Decreti sull'Autonomia e sulle classi di lauree) indicano il valore di 1500 ore annue complessive (a cui corrispondono 25 ore di lavoro di apprendimento per ogni credito) per quantificare il carico medio di lavoro di uno studente. Realisticamente, tale carico di lavoro medio annuale può essere valutato più appropriatamente, in termini di tempo dedicato allo studio nelle sue varie forme, pari a non meno di 1800 ore, corrispondenti ad un impegno concepibile come impegno a tempo pieno, vale a dire a:

8 ore al giorno,
per cinque giorni alla settimana,
per 45 settimane lavorative.

Su questa base, ad 1 credito corrispondono non meno di 30 ore di lavoro di apprendimento.

Il numero di crediti disponibili globalmente per un Corso di studio dipende poi dalla durata in anni di quest'ultimo.

Ad esempio:

3 x 60 = 180 crediti per un Corso triennale

pari a un carico di lavoro stimato in:

3 x 1.800 = 5.400 ore

Conseguentemente il peso di ogni singola unità didattica all'interno di un determinato Corso di studio è espresso:

* in una determinata frazione del monte-ore complessivo che rappresentano le ore necessarie allo studente per completare quella specifica attività di apprendimento;

* in un determinato numero (corrispondente) di crediti.

L'attività di apprendimento si divide, a sua volta, in:

* forme di didattica assistita: frequenza di lezioni, esercitazioni, seminari;

* forme di studio individuale: studio dei testi, elaborazione di relazioni, preparazione dell'esame;

* forme di accertamento continuo del profitto (verifiche periodiche, ecc.).

Il rapporto fra queste diverse modalità dell'apprendere varia da disciplina a disciplina, da insegnamento ad insegnamento, da persona a persona.

Proprio per questo la scorciatoia, spesso praticata per comodità, che consiste nello stabilire un rapporto uniforme e universalmente valido tra il numero di ore di lezione impartite e l'insieme delle attività di apprendimento, svolte autonomamente dallo studente, non conduce certo a dati attendibili sul carico di lavoro dello studente. Questo tipo di dati, che sono un presupposto di ogni quantificazione degli studi in termini di crediti possono essere ricavati soltanto da indagini dettagliate sul campo che abbiano come scopo la rilevazione del carico di studio in ogni materia, ed in particolare sul rapporto fra didattica assistita e studio individuale.

A.4. E' possibile misurare il carico medio di lavoro dello studente?

Le situazioni che caratterizzano l'apprendimento – dalle doti intellettive individuali alle conoscenze pregresse, dalle motivazioni e dai comportamenti alle tecniche di apprendimento e di insegnamento – sono caratterizzate da una varietà praticamente illimitata. Ci si può allora chiedere se l'idea stessa di misurare il tempo di apprendimento in termini collettivi, per fissarne il valore medio, non sia una finzione astratta che non trova riscontro nella realtà. Con quali strumenti è possibile elaborare in modo attendibile il valore medio del carico di lavoro, in vista dell'attribuzione credibile dei crediti?

Se è vero che ogni studentessa ed ogni studente si differenzia dagli altri come individuo, è vero anche che la popolazione studentesca come insieme presenta delle costanti che possono essere studiate, – una di queste è la durata degli studi, vale a dire il tempo mediamente impiegato da una classe di studenti per conseguire un titolo di studio. Lo strumento che permette di ricavare indicazioni generalizzabili a partire da dati singoli fortemente differenziati, come in questo caso, è l'indagine empirica su grande scala e la sua elaborazione statistica che, grazie ai sofisticati metodi di rilevazione ed analisi impiegati, può fornire anche per il carico di lavoro di apprendimento informazioni sufficientemente significative da poter costituire la base del sistema dei crediti.

La nozione di carico medio di lavoro dello studente pone comunque un problema che va oltre la dimensione tecnica e tocca un ambito delicato e complesso del sistema universitario: quello della notevole disomogeneità del bagaglio culturale e conoscitivo con il quale gli studenti affrontano la loro carriera universitaria.

Facciamo due esempi:

* lo studio della filologia classica richiederà un impegno (cioè un carico di lavoro) ben maggiore a chi non possiede conoscenze propedeutiche in latino, storia e linguistica rispetto allo studente già dotato di nozioni di base in questi campi;

* lo studente in possesso di buone basi in matematica e scienze naturali affronterà lo studio in fisica con carichi di lavoro mediamente inferiori a quelli di un suo collega poco preparato in queste materie.

La Riforma parla in questi casi di debito formativo, inteso come mancanza di determinati elementi conoscitivi, la cui presenza è ritenuta indispensabile come pre-condizione per un proficuo svolgimento del corso di studio, e sollecita le Università a realizzare, d'intesa con la scuola secondaria superiore, attività formative propedeutiche che consentano a tutti gli studenti di cominciare gli studi universitari con una adeguata preparazione iniziale.

E' ragionevole immaginare, in questo contesto, che l'azione congiunta della riforma della scuola secondaria, delle politiche di orientamento e delle iniziative di formazione pre-università producano nel corso del tempo una accresciuta capacità media di apprendimento degli studenti, con la conseguenza di ridurre il carico di studio medio, a parità di conoscenze-competenze acquisite. I crediti vanno, di conseguenza, intesi come un sistema dinamico la cui evoluzione deve essere seguita e valutata dall'università attraverso adatte forme di monitoraggio, come previsto dal sesto comma dell'Art. 5 del Regolamento sull'Autonomia.

A.5. I crediti possono incidere sulla qualità della didattica?

I fautori dell'introduzione dei crediti attribuiscono a questa innovazione la forza di indurre un forte miglioramento della didattica universitaria. I suoi oppositori o molti scettici la identificano con un inevitabile decadimento della qualità dell'istruzione universitaria in Italia.

La legittima preoccupazione che pone l'accento sul rischio di dequalificazione degli studi universitari fa perno sulla convinzione che l'introduzione dei crediti, imponendo una verifica del carico di lavoro richiesto agli studenti, comporti necessariamente, nella situazione italiana caratterizzata da carichi di studio che si presumono mediamente troppo elevati, un ridimensionamento dei programmi di insegnamento e quindi una riduzione dei contenuti scientifici dell'insegnamento.

In effetti, se l'adozione dei crediti si limitasse a promuovere una riduzione del carico di lavoro, sarebbe innegabile il rischio di dequalificare la didattica universitaria (licealizzazione). Per evitarlo occorre mettere in atto, accanto ai crediti, una serie di cambiamenti sostanziali nella concezione e nell'organizzazione della didattica:

* sostituire una concezione dell'insegnamento universitario inteso come accademica esposizione di sapere scientifico con un approccio orientato a favorire l'apprendimento, finalizzato rispetto a precisi obiettivi formativi, e concretizzandolo nell'adozione di metodologie didattiche di tipo interattivo;

* affermare il principio del coordinamento della didattica, con un ampliamento degli spazi riservati alle decisioni collegiali in materia didattica. Va ricercato un proficuo equilibrio tra l'importante principio della libertà di insegnamento del docente – che ha la responsabilità accademico-scientifica e la prerogativa di imprimere al proprio insegnamento le caratteristiche giudicate più consone a rispecchiare i contenuti scientifici della materia – e le esigenze collettive e gli obiettivi formativi dell'istituzione. Ne discenderanno una maggiore linearità e coerenza dei contenuti e l'eliminazione di eventuali sovrapposizioni, ridondanze, ecc;

* stimolare la modularizzazione della didattica: trasformando gli attuali insegnamenti in unità didattico-scientifiche più piccole, incentrate sui contenuti qualificanti, si renderanno i percorsi formativi più flessibili.

Il problema di fondo non è la riduzione o meno dei programmi.

Si tratta di costruire, a partire dai crediti, percorsi di formazione organicamente programmati e contraddistinti da metodologie didattiche efficaci, in grado di favorire lo svolgimento di programmi che formino ben precisate conoscenze e competenze entro un tempo prevedibile.

La scommessa da vincere e, insieme, la sfida che i crediti lanciano al sistema universitario è di rendere gli studi universitari fattibili senza pregiudicare il livello qualitativo della formazione.

A.6. I crediti come strumento per riconoscere attività ed esperienze formative di carattere non-universitario – verso la formazione continua a livello universitario

Il Regolamento sull’autonomia didattica degli Atenei prevede, all’Art. 5, comma 7, che le università possano riconoscere come crediti formativi universitari, secondo criteri predeterminati, le conoscenze e abilità professionali […] nonché altre conoscenze e abilità maturate in attività formative di livello post-secondario. Nel quadro dell'applicazione della riforma del sistema universitario italiano, si pone quindi anche il problema di definire le modalità del riconoscimento di crediti formativi acquisiti in attività formative non universitarie alla cui progettazione e realizzazione l'Università abbia concorso. Il canale per eccellenza a cui fare riferimento in questo contesto sono i corsi istituiti nell'ambito della Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS) situata all’interno del complessivo sistema della Formazione tecnico professionale Superiore Integrata (FIS).

Il canale formativo IFTS nasce con alcuni obiettivi essenziali:

* adeguare agilmente l’impostazione dei percorsi di studio all’evoluzione della domanda sociale di formazione e alle innovazioni del sistema produttivo, per una piena e quasi immediata spendibilità della formazione superiore sul mercato del lavoro;

* rappresentare un concreto contributo per l’attivazione e lo sviluppo di un più ampio processo di lifelong learning;

* valorizzare i percorsi formativi e professionali individuali, e quindi la capitalizzazione dei risultati anche parziali che via via i soggetti acquisiscono nel corso della loro esperienza, a qualunque punto la interrompano;

* incoraggiare, di conseguenza, una mentalità flessibile degli individui rispetto alle esperienze formative e la mobilità orizzontale/verticale tra corsi di studio differenti, universitari e non, nell’ottica della riutilizzabilità di tutti gli investimenti formativi.

Per l’attivazione di ogni iniziativa IFTS, oggi al suo secondo ciclo di sperimentazione (1999/2000). il coinvolgimento delle istituzioni universitarie è una condizione irrinunciabile. La partecipazione dell’Università di Firenze alla sperimentazione IFTS si esplica a tre livelli:

1. Dipartimenti e Facoltà possono partecipare alle attività di progettazione e di monitoraggio dei corsi;

2. l'Università prende parte alla gestione dei corsi attraverso la sua presenza nei Comitati tecnico-scientifici; la partecipazione dei docenti universitari all’attività di docenza in ambito IFTS è invece prevista solo a titolo personale;

3. in particolare, le strutture didattiche dell’Università (Corsi di laurea e di diploma) hanno la responsabilità di valutazione dei progetti, al fine di stabilire le modalità dell'eventuale riconoscimento di crediti in caso di proseguimento degli studi a livello universitario.

Pertanto è opportuno che ogni progetto proposto coinvolga la struttura didattica accreditante disciplinarmente competente.

Renato Reggiani
Renato Reggiani
Romano, 41 anni di attività di ricerca e giornalistica, giornalista scientifico ed esperto di comunicazione ecosostenibile. Ho il cuore diviso tra l’Italia e l’Oriente dove ho studiato e lavorato a Dubai, ora copro larea sud Pacifico, mi divido tra Tokyo e Seul, ho studiato a Rotterdam con il programma Erasmus per imprenditori. Hao collaborato con giornali, agenzie e tv. Ho depositato due brevetti per migliorare la sostenibilità green delle nostre città. Ho fondato l’Associazione Frontiere della Comunicazione per insegnare il cinese e l'inglese ai bambini delle scuole elementari italiane. Fulminato sulla via di San Francisco dalla Maker Faire, ho collaborato e curato l’area agricoltura digitale per 2 edizioni. Ho collaborato con la facoltà di Scienze della Comunicazione di Roma e il Politecnico di Milano facoltà di Architettura a Piacenza. Premiato a Copenaghen per la Corporate Social Responsibility, non ho ancora visto la sirenetta. Cambiare il mondo si può, un articolo alla volta.

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