Nasce a Roma il “Museo delle Opacità” sul passato coloniale italiano. Tornano visibili centinaia di opere in deposito.

Riscrivere la storia dell'ex Museo Coloniale di Roma, esaminando i meccanismi che lo hanno generato in passato, ma anche per liberare la potenza propulsiva di nuove narrazioni

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di Renato Reggiani
Universinet.it -Il Museo delle Civiltà ( cjhe ingloba gli ex musei Nazionali dellaCiviltà e arti e tradizioni popolari all’EUR) inaugura “Museo delle Opacità”, un nuovo capitolo del riallestimento delle sue collezioni e narrazioni museali. Il focus si concentra su opere e documenti dell’ex Museo Coloniale di Roma, che sono state aggiunte alle collezioni del Museo delle Civiltà nel 2017 e sono attualmente in fase di ricatalogazione. Questi pezzi storici vengono messi in dialogo con opere d’arte contemporanea, comprese nuove acquisizioni resesi possibili grazie al PAC-Piano per l’arte contemporanea del Ministero della Cultura e nuove produzioni realizzate attraverso residenze nel contesto di Taking Care-Ethnographic and World Cultures Museums as Spaces of Care, un progetto co-finanziato dal programma Creative Europe dell’Unione Europea.

Nel titolo del nuovo progetto, il termine “opacità” assume un doppio significato. In primo luogo, si riferisce al velo d’amnesia che ha avvolto l’epoca coloniale della storia nazionale, un periodo ancora largamente sconosciuto in termini di eventi, cifre e protagonisti. In secondo luogo, l’opacità è un concetto teorizzato dal poeta e saggista Édouard Glissant (Sainte-Marie, Martinica, 1928-Parigi, 2011). Secondo Glissant, ogni individuo ha il diritto di non subordinare la propria identità a criteri come “accettazione” o “comprensione”, che comportano un’appropriazione e una classificazione unilaterali, ma piuttosto al criterio della “condivisione”, che permette di assumere e condividere identità autonome e specifiche, generate da sé stessi.

Il Museo delle Civiltà si è posto l’obiettivo di condividere le proprie riflessioni su come interpretare e riallestire una selezione di opere e documenti dell’ex Museo Coloniale di Roma, che testimoniano la quasi secolare storia coloniale italiana in Africa (1882-1960), con vari soggetti – cittadini, gruppi collettivi e comunità, artisti, curatori, ricercatori. Questi pezzi erano stati originariamente presentati come parte di una campagna di propaganda a sostegno dell’immaginario e delle politiche coloniali.

Il Museo delle Civiltà ha adottato un approccio di ricerca plurale e partecipato, affrontando le proprie responsabilità istituzionali nei confronti di circa 12.000 oggetti – reperti archeologici, opere d’arte, manufatti artigianali, merci, sementi, strumenti scientifici e tecnologici, carte geografiche e dispositivi espositivi – che dal 1971, anno di chiusura dell’ex Museo Coloniale, sono rimasti in deposito per oltre 50 anni. Questo deposito ha da un lato alimentato un fenomeno di rimozione collettiva della storia coloniale italiana, ma dall’altro ha reso necessaria una sua ricontestualizzazione nel nostro presente. Da questo processo emerge la potenzialità rigenerativa di queste collezioni, una volta messe in dialogo con opere d’arte e documenti contemporanei.

Il progetto del Museo delle Opacità si basa su questo dialogo. Utilizzando le fotografie degli allestimenti storici come “testimonianza antropologica”, ovvero come memoria critica del contesto museale originale, è possibile ricostruire le relazioni tra gli oggetti e i dispositivi linguistici ed espositivi che ne hanno sostenuto l’interpretazione. Ciò apre anche la possibilità di nuovi modi di documentare, ricercare e condividere. In particolare, c’è l’opportunità di rinegoziare i termini delle storie raccontate, proiettandole dal passato al futuro, e dando voce a quelle molteplici soggettività che in passato furono escluse dagli allestimenti e dalle narrazioni dell’ex Museo Coloniale, o utilizzate come alterità per definire un contrasto piuttosto che un dialogo tra soggetti e culture.

Il criterio dell’opacità, quindi, può servire non solo per riscrivere la storia dell’ex Museo Coloniale di Roma, esaminando i meccanismi che lo hanno generato in passato, ma anche per liberare la potenza propulsiva di nuove narrazioni. Queste nuove narrazioni possono contribuire a prevenire la creazione di futuri musei coloniali, favorendo invece la creazione di spazi e tempi di condivisione, piattaforme in continuo cambiamento per la partecipazione, l’incontro e il confronto.

Redazione Universinet Magazine
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